Dettati ortografici sugli ANIMALI – Una raccolta di dettati ortografici e letture per la scuola primaria sugli animali: i mammiferi, i ruminanti, i mammiferi marini, ecc..
Dettati ortografici sugli ANIMALI – Mammiferi
Si chiamano mammiferi gli animali vertebrati che da piccoli si nutrono con il latte materno. Il loro corpo è generalmente ricoperto di peli, il loro sangue è rosso e caldo; respirano con i polmoni. La grande classe dei mammiferi comprende animali che vivono sulla terra, nell”aria e nell’acqua. Sono mammiferi i cani, i gatti, i topi, i cavalli, i buoi, le mucche, le pecore, le capre, i maiali, le volpi, i lupi, i leoni, le tigri, i leopardi, gli elefanti, le zebre, le giraffe, i conigli, le lepri, i canguri, gli scoiattoli, le scimmie, le balene, i delfini, i pipistrelli e tanti altri animali.
I ruminanti
Gli animali ruminanti hanno uno stomaco diviso in quattro sacche che si chiamano rumine, reticolo, omaso ed abomaso. L’erba, inghiottita senza essere stata masticata, va dapprima nel rumine, poi, quando l’animale è in riposo, il reticolo la rimanda in bocca; da qui, dopo che i denti l’hanno ben masticata, l’erba scende nell’omaso e nell’abomaso, dove è digerita. Oltre ai bovini, sono animali ruminanti: la pecora, la capra, il bisonte, il cammello, il dromedario, il cervo, il camoscio, lo stambecco, il caribù, la renna, l’antilope, e tanti altri.
I pipistrelli
I pipistrelli sono gli unici mammiferi capaci di compiere un volo vero e proprio, in tutto simile a quello degli uccelli. La mamma pipistrello è solitamente premurosa verso i piccoli. Alla nascita, il piccolo pipistrello è nudo e cieco. La mamma lo lecca e lo attacca al suo pelame, ove egli rimarrà per parecchi giorni succhiando, di tanto in tanto, il latte materno. La mamma intanto vola e caccia normalmente col figlio attaccato al petto. Quando il piccolo, dopo alcune settimane, si è un poco ingrossato, la madre gli dà le prime lezioni di volo e di nuoto e, soprattutto, lezioni per la cattura degli insetti. Il pipistrello vive da 5 a 10 anni, e talvolta fino a 20.
Mammiferi marini
La balena è il più grosso dei mammiferi. Vive nei mari polari, ove è cacciata per la carne, il grasso e i fanoni. Il delfino è un cetaceo molto comune nei mari temperati: è mammifero e carnivoro. La foca è un mammifero marino delle zone glaciali. Si ciba di pesci. Il tricheco è un mammifero che vive nei mari freddi.
Il pipistrello (lettura)
Attirati dalla dolce temperatura delle ora crepuscolari, folle di insetti lasciano il loro ritiro e vengono a librarsi, a volteggiare, a cacciare nel cielo. Ora di canti, di musiche d’ali, di cacce, e di morte. Già, di morte. Uno svolazzare d’ali nere guizza improvviso nel cielo; va, viene, sale, discende, appare, scompare, e intanto afferra, trita, inghiotte. L’orco, il terribile orco nero, è giunto e tutto divora. Nel suo volo tortuoso afferra in aria un insetto, un altro e un’altro ancora. Gli piacciono tutti: scarafaggi a elitre dure, zanzare magre, farfalle grassocce, falene, bombi, tignole; in una parola, ama divorare i devastatori della vigna, degli alberi da frutto, delle stoffe di lana. Chi potrebbe dire il numero degli insetti che il pipistrello, perchè lui è l’orco, distrugge? Finchè lo permettono le luci morenti della sera, l’ardente cacciatore continua la sua opera di sterminio. Poi, sazio, torna dai suoi amici nelle vecchie torri, nelle grotte, nelle cave abbandonate, dove, riunito a grappoli, attende il giorno seguente.
Malgrado il volo, il pipistrello non ha niente in comune con gli uccelli; e non è neppure un topo. E’ un insettivoro (più propriamente un chirottero), provvisto di ali. Il suo corpo è difeso dal freddo da una pelliccia, e un paio di ali nude, perfettamente adatte al volo, gli danno la facoltà di innalzarsi nel cielo.
Queste ali sono il tratto più sorprendente del pipistrello. Esse sono le zampe anteriori trasformate in strumenti di volo. Salvo leggerissime differenze, esse riproducono, pezzo per pezzo, l’ossatura del braccio dell’uomo. Vi si trova tutto, persino le piccole ossa del polso e delle dita. Quattro delle cinque ossa che compongono il nostro palmo della mano si allungano oltre misura, come pure le dita corrispondenti, e formano quattro raggi fra i quali è tesa la membrana dell’ala. Delle cinque dita una sola, il pollice, resta libera. Questo pollice è armato di un’unghia adunca di cui l’animale si serve per aggrapparsi e camminare. Le altre quattro dita si allungano per servire d’appoggio alla membrana dell’ala, una ripiegatura della pelle che parte dalla spalla, si stende tra le quattro dita della mano e va a raggiungere le zampe posteriori. Per essere sempre pronto a volare il pipistrello riposa e dorme aggrappato alla volta del suo rifugio con la testa all’ingiù. Al minimo allarme la zampa lascia la presa, le ali si distendono e l’animale prende il volo.
La durata della caccia è di una, due ore. Il resto delle ventiquattro ore è passato in riposo, nella tranquillità di qualche grotta. L’animale non farà dunque che un pasto in questo spazio di tempo? E nelle sere in cui la caccia è impossibile? Il cielo è troppo oscuro, tira vento, piove, gli insetti si nascondono: digiuna allora il pipistrello? No, esso fa delle provviste di cibo, provviste che ammassa in fretta, nella bocca, senza interrompere un momento la caccia di così breve durata. A tale scopo sono indispensabili delle tasche, tasche ben profonde, in cui il cacciatore ammucchi la sua selvaggina man mano che la afferra. Le guance hanno appunto questo scopo; possono distendersi a volontà, gonfiarsi, arrotolarsi in borsette dove si accatastano gli insetti uccisi con una dentata. A queste tasche di riserva si dà il nome di “borse”. Quando il pipistrello rientra nel rifugio ha le borse rigonfie. Può attendere così parecchi giorni, se occorre, senza timore di soffrire la fame. Appeso al soffitto, rosicchierà, nelle ore di appetito, la riserva giudiziosamente messa da parte.
La balenottera azzurra
E’ il più grosso animale vivente. Può raggiungere circa 35 metri di lunghezza e 1500 quintali di peso.
Alcune misure: larghezza della coda: 7 metri; lunghezza di una pinna: 5 metri; peso del grasso: 300 quintali; peso dei muscoli: 600 quintali; peso delle ossa: 250 quintali; peso della lingua: 30 quintali; peso del fegato: 6 quintali; peso dello stomaco: 5 quintali; peso di una vertebra: 2,5 quintali; peso del cuore: 4,3 quintali.
La bocca è enorme, ma l’apertura dell’esofago è molto stretta. Per questo, la balena può inghiottire solo pesci piccolissimi: invece dei denti ha circa 400 lamine cornee sfrangiate, i fanoni. Spalancando le mascelle, essa si riempie la bocca di acqua con tutti gli animaletti che vi si trovano. Poi abbassa il cancello dei fanoni richiudendo le mascelle e con la lingua spinge fuori l’acqua: pesciolini, piccoli crostacei, meduse, seppioline e migliaia di altri animaletti microscopici (protozoi) rimangono impigliati nelle frange dei fanoni e formano il cibo della balena.
Le pinne in realtà sono le zampe anteriori dell’animale, trasformate, ricordo di quando la balena era un animale terrestre quadrupede. A differenza dei pesci, infatti, queste pinne sono interamente articolate, con ossa che riproducono un braccio con cinque dita, come nei mammiferi terrestri.
Ogni venti minuti circa la balena, come tutti i cetacei, viene a galla per respirare attraverso le narici, che sono poste sulla sommità del capo. Sbucata alla superficie, la balena espelle con violenza l’aria dai polmoni; siccome l’aria è calda e umida, quando giunge all’esterno il vapore acqueo che contiene si condensa in tante goccioline e appare come uno zampillo che parte dal muso del cetaceo.
Dettati ortografici sugli ANIMALI – Il cavallo
Il cavallo è il più nobile animale della fattoria: è slanciato, ha la testa allungata, gli occhi grandi e le orecchie a punta di cartoccio. Scuote la folta criniera, dondola la coda lucida; ma zampe sottili e robuste, terminanti in un piede con un solo dito, protetto dallo zoccolo.
Talvolta, mentre gli si mettono i finimenti, il cavallo sbuffa, nitrisce, scalpita e allarga le froge.
Tra i denti canini e i molari c’è uno spazio vuoto che porta il nome di barra, utile per appoggiarvi il morso: è questo l’arnese di cui si è servito l’uomo per domarlo.
Il mantello o pellame che ricopre il cavallo è molto vario. Il cavallo si dice baio quando ha il mantello rosso – castano, la criniera e la coda nere; sauro quando è più scuro o più chiaro del baio, ma con la criniera e la coda dello stesso colore del mantello; morello, storno quando è grigio macchiettato di bianco; roano quando ha il mantello bianco e grigio.
La durata della vita di un cavallo non supera i trent’anni.
Il cavallo veniva impiegato nei lavori agricoli e come mezzo di trasporto.
Alla famiglia degli equini appartengono anche l’asino e il mulo.
L’asino
L’asino somiglia al cavallo, ma ha il corpo più piccolo (supera di poco l’altezza di un metro); la sua testa è grossa e pesante; le orecchie sono lunghe, la criniera è ruvida con peli dritti; la coda è liscia, rivestita di peli solo all’estremità. Il mantello dell’asino può essere di colore grigio, bianco toppato o scuro. La sua voce è sgraziata e rumorosa: si dice raglio e si distingue nettamente dal nitrito.
L’asino si nutre di fieno e di erba fresca. E’ un animale paziente e laborioso. Veniva utilizzato per il traino, per la soma e per la sella.
Il mulo
E’ figlio dell’asino e della cavalla. Si distingue dal cavallo per la forma del capo, per le orecchie più lunghe, per la coda simile a quella dell’asino. Il colore del mantello è come quello del cavallo.
Il mulo raglia come l’asino.
Il mulo è robusto come il cavallo, paziente e laborioso come l’asino; tira spesso e facilmente calci terribili. Nei percorsi di montagna è superiore all’asino e anche al cavallo per la sicurezza con la quale cammina nei luoghi più pericolosi.
La pecora e la capra
Buone e pacifiche, le pecore e le capre pascolano sui prati e brucano l’erba e i germogli lungo le siepi. Il vello delle pecore è folto e morbido, formato da bioccoli di lana.
Il maschio della pecora si chiama montone, ed ha due corna ricurve.
Le capre hanno una graziosa barbetta sotto il mento e piccole corna curve e affilate con le quali aggrediscono e si difendono.
Pecore e capre vengono riunite in greggi sorvegliate dai pastori e dormono negli ovili con gli agnelli e i capretti.
Sono ruminanti ed erbivori; danno latte e carne; la pecora, inoltre, ci dà la lana e con la pelle della capra, conciata, si fanno scarpe e guanti.
In Italia le pecore sono allevate specialmente nel Lazio, nell’Abruzzo, nel Molise e nell’Umbria. Durante l’estate, le greggi si spostano dalle pianure ai pascoli appenninici, che abbandonano al principio dell’inverno. Questa periodica migrazione è detta transumanza. La transumanza viene effettuata su antiche vie chiamate tratturi.
Le pecore si chiamano ovini e le capre caprini. Sono ruminanti simili alla capra anche il camoscio, lo stambecco e il caribù.
Il cane
Chiamato l’amico dell’uomo, il cane è un animale intelligente, fedele e coraggioso. Fa la guardia alla casa e al bestiame, ordina il gregge, guida i ciechi, insegue i ladri, difende le persone, scova la selvaggina.
Ha i denti robusti, l’odorato e l’udito molto sviluppati. Il corpo del cane è coperto di pelo o mantello che varia come colore e come lunghezza. Il cane ha quattro zampe con le dita munite di unghie fatte ad artiglio. Secondo le razze, i cani sono barboncini, cani lupo, pastori, levrieri, pechinesi, San Bernardo, bracchi, bassotti, …
Il cane abbaia, ringhia, guaisce e latra.
Alla famiglia del cane, cioè dei canidi, appartengono la volpe, astuta cacciatrice di polli, che vive allo stato selvatico, il lupo e lo sciacallo.
Dettati ortografici sugli ANIMALI – Gli animali e l’uomo
Fin dalla più remota antichità, l’uomo cercò di sottomettere gli animali per farsi aiutare nel suo lavoro ed avere carni ed abiti. Sembra che il primo animale ad essere addomesticato sia stato il cane. L’uomo viveva ancora nelle caverne, aveva intanto scoperto la maniera di procurarsi il fuoco.
Non si sa precisamente quale sia stato l’antico progenitore di questo fedele amico dell’uomo. Data la diversità di razze esistenti, così profondamente differenziate le une dalle altre, si può dedurre che il cane provenga da animali diversi. Tra questi è certamente lo sciacallo che rassomiglia al tipo più comune di cane. Lo sciacallo ulula lugubremente di notte e anche la voce primitiva del cane è l’ululato. E’ soltanto nella dimestichezza che egli ha imparato ad abbaiare, cosa che dimentica se ritorna allo stato selvatico.
Naturalmente, oggi il cane ha perso diversi caratteri della sua antica origine; i tipi da noi conosciuti sono il risultato di una lunga successione di generazioni, tutte sottomesse dall’uomo ed educate da lui.
Quando il cibo carneo cominciò a scarseggiare, sia per la mancanza di selvaggina sia per il sopravvenire dei grandi freddi, l’uomo primitivo soffrì la fame e, allora, pensò di allevare degli animali. Si ebbero così gli armenti di pecore e di capre. L’uomo ebbe la carne e il latte e in seguito imparò anche a filare e a tessere il vello di cui questi animali erano forniti. Successivamente, alcune popolazioni si dedicarono esclusivamente all’allevamento. Ed ecco l’uomo pastore. Egli è, però, ancora nomade. Spinge davanti a sè i suoi greggi alla ricerca di nuovi pascoli; conosce così nuove contrade dove porta quel poco di civiltà che è venuto conquistando, seguito da quegli animali che si sono ormai definitivamente sottomessi.
Prima di conseguire la domesticità attuale, pecore e capre erano ben diverse dal tipo che oggi conosciamo. Forse, erano anche in grado di difendersi. La pecora, oggi così mansueta paurosa e assolutamente incapace di una vita indipendente, doveva possedere mezzi di difesa, altrimenti sarebbe scomparsa dalla terra prima che l’uomo avesse potuto addomesticarla. Era, per lo meno, in grado di salvarsi con la fuga, così come facevano tutti i ruminanti e come fanno ancor oggi quelli rimasti allo stato selvatico.
L’uomo conosceva una varietà di spiga di cui mangiava i granelli che, abbrustoliti e ridotti in farina, intrideva con l’acqua e cuoceva fra due pietre arroventate. Questa focaccia gli piaceva e egli la mangiava insieme alla carne della selvaggina di cui temperava il gusto e il forte sapore. Fu così che l’uomo imparò a coltivare egli stesso questa spiga e fu lieto quando vide biondeggiare il campo di messi, seminate e coltivate da lui. Divenne agricoltore, ma rimase nomade perchè quando il campo, ormai sfruttato, non dava che un raccolto misero e scarso, egli si trovava costretto a cercare terreni più fertili e pingui.
Ma il lavoro della terra era faticoso: quella specie di aratro che egli si era fabbricato con un tronco appuntito, era duro a trascinarsi sul terreno dove a stento riusciva ad aprire un solco superficiale.
Fu così che l’uomo cercò di domare un animale forte e robusto che lo aiutasse nel lavoro dei campi.
L’animale forte e robusto fu il toro e il sottometterlo non fu facile nè privo di pericoli.
La storia non ci dice nulla dei primi domatori di tori, ma questa conquista fu così preziosa che l’Oriente ne serbò memoria per lungo tempo, e ne fanno prova gli onori che l’antico Egitto attribuiva al bue Api, considerato un dio e al quale si offrivano sacrifici e si dedicavano templi. Anche ai nostri giorni, in India, la vacca è considerata sacra e perfino nei nostri paesi i buoni vengono ornati con fiocchi e nappe. Naturalmente, molto cammino si è fatto dal bestione furioso e ribelle dei tempi preistorici al docile e mansueto bue dei nostri giorni.
L’uomo è dunque diventato pastore ed agricoltore. Ormai sono molti gli animali che ha addomesticato e di cui si serve: il cane, che gli è diventato fedele compagno nella caccia e che custodisce il suoi armenti; la pecora, che gli fornisce cibo e vesti; il bue che lo aiuta nel lavoro dei campi.
Ma egli ha ormai bisogno di spostarsi velocemente da un luogo all’altro, le sue esigenze sono aumentate, lo spinge la curiosità invincibile che lo porta ad esplorare regioni lontane e ancora sconosciute. E’ spesso in guerra con gli altri uomini che gli insidiano il gregge e i raccolti. La guerra! Un fattore decisivo nella storia della civiltà umana. L’uomo deve utilizzare un animale veloce che gli permetta non solo di spostarsi rapidamente da una regione all’altra, ma che sia anche un animale coraggioso, capace di sostenerlo e di aiutarlo nel combattimento. E’ così che l’uomo utilizza il cavallo che poi avrebbe addomesticato ed allevato come animale da tiro e da carne. Lo chiamò pittorescamente il “figlio del vento”, e questa fu certo la più nobile conquista che egli abbia fatto nei tempi dei tempi.
Pare che questo animale provenga dalle pianure della Mongolia, dove esistono ancora branchi di cavalli selvatici. Anche in America si trovano branchi che vivono in libertà, allo stato brado, nelle sterminate pianure erbose, ma essi sono soltanti i discendenti rinselvatichiti dei cavalli domestici.
Per catturarli, gli uomini usano il lazo, una specie di correggia terminante con palle, la quale si attorciglia al collo e alle zampe del cavallo e lo atterra. Forse, non molto dissimile fu la cattura del cavallo nell’antichità. Non fu facile domare questo fiero animale, ma quando l’uomo vi riuscì, il cavallo gli fu prezioso in pace e in guerra.
Il mite e paziente asinello non è un cavallo degenerato come alcuni vorrebbero: anch’esso vanta le sue antiche origini e anzi, l’asino sembra aver preceduto il cavallo nella domesticità. L’uomo nomade che trasmigrava con tutti i suoi armenti, aveva bisogno di un animale da poter caricare con le masserizie e gli strumenti di lavoro. L’asino gli fu utilissimo perchè era forte, paziente, di poche esigenze e resistente ai disagi. Oggi, gli asinelli delle razze montane hanno un aspetto dimesso perchè vengono anche trattati male, ma in Oriente, dove questa cavalcatura è tenuta molto in onore, l’asino è un animale dall’aspetto robusto, che trotterella vivacemente.
Gli animali domestici crescevano di numero e l’uomo ne traeva cibo e aiuto per il suo lavoro, ma la serie non doveva finire tanto presto. Ecco il gatto, che l’uomo forse in principio tollerò, quando attratto dall’odore dei cibi e dell’abbondanza di piccoli animali, questo felino grazioso ed agile si avvicinò alla sua capanna. Pare che il gatto domestico derivi dal gatto selvatico che ancora vive in Abissinia e che gli assomiglia molto. Infatti, per quanto il nostro gatto sia pieno di smorfiette e di grazie, esso rivela la sua origine felina nelle improvvise rivalse fatte con denti e unghie. Il gatto fu ospite dell’uomo fin dalla più remota antichità. L’Oriente, dal quale l’abbiano ricevuto, lo possiede da tempo immemorabile. In Egitto, il gatto era ritenuto sacro e gli venivano attribuiti onori divini.
Fra gli animali addomesticati ed allevati soprattutto per le loro carni, vi fu il maiale, derivato certamente anche dall’irsuto e selvatico cinghiale, che ancora popola le nostre macchie. Ed ecco, infine, le numerose varietà di polli che oggi schiamazzano nei nostri cortili e che l’uomo, attraverso selezioni lunghe e pazienti, ha modificato a suo vantaggio: galline grasse e feconde, galli pettoruti e arditi, tacchini e palmipedi. Mentre il gallo e la gallina ci sono pervenuti dall’Asia, il tacchino proviene dall’America del Nord. Per tale ragione viene chiamato anche dindo, cioè proveniente dalle Indie (occidentali).
L’oca e l’anatra esistono ancora allo stato selvatico, e sono note le lunghissime migrazioni che esse compiono da un capo all’altro del mondo per andare a deporre le uova nei paesi d’origine, situati entro il Circolo Polare.
Altri pennuti preziosi sono i piccioni, allevati in domesticità anche se numerose specie vivono ancora libere nei buchi delle vecchie torri o sui tetti.
(Mimì Menicucci)
L’uomo e gli animali nella preistoria
I nostri lontanissimi antenati ben presto dovettero osservare tutto ciò che li circondava e in modo speciale gli altri viventi, soprattutto gli animali, alcuni dei quali rappresentavano un pericolo da evitare e altri una fonte di vita di cui occorreva impadronirsi. Il risultato di queste osservazioni è giunto fino a noi negli stupendi disegni graffiti sulle pareti delle caverne dove l’uomo, allora, abitava.
Il bue
Il bue ha un’importanza rilevante per la storia stessa della civiltà umana. Quando l’uomo delle caverne riuscì a rendere domestico e quindi ad allevare e a trasformare gradatamente l’uro, il colossale bue preistorico, ebbe inizio una serie di eventi importantissimi. L’allevamento di questo animale significava possibilità di avere carni a sufficienza e il numero dei buoi che uno possedeva servì a calcolare la sua ricchezza. Inoltre la forza del bovino permise la trasformazione del suolo, ancora vergine, in campi coltivati.
Il cinghiale
Occhio vivace, garretti asciutti, dorso agile, trotto veloce e nervoso, cotenna spessa e dura, zanne robuste e acuminate, il cinghiale è un lottatore di grande coraggio. Ben diverso da lui è il placido grasso maiale discendente dal cinghiale che ancora vive in libertà nelle macchie e nelle foreste paludose.
Il maiale
Nulla resta in questo animale dell’aggressività, della forza, della furberia di uno dei suoi antenati, il cinghiale. Da una parte, sensi affinati, muscoli scattanti, riflessi rapidi, coraggio ed intelligenza; dall’altra la tranquillità, in nutrimento facile, e quindi la sonnacchiosità, la petulanza ottusa, i riflessi tardi e il grasso.
Il bue
Gli antichi Germani cacciavano di preferenza l’uro. Ne adoperavano la pelle per fare i vestiti, ne mangiavano la carne, nelle loro corna bevevano l’idromele. Più tardi, i Germani fissarono le loro dimore e praticarono l’agricoltura, ma l’uro calpestava i loro campi e perciò il contadino cercò di fermare il gigante. L’uro era già scomparso fin dal Medio Evo. Il gigante continua però a vivere nel bue domestico ostinato e lento, ma utile, che ora si trova sparso per tutta la terra. (Reichelt)
Il cavallo nella storia
Il cavallo fu più di una volta l’elemento determinante di eventi storici molto importanti. I cavalli fiancheggiarono le legioni romane in battaglia, i destrieri medioevali furono i fedeli compagni dei cavalieri nelle loro imprese straordinarie, i veloci corsieri trasportarono le popolazioni asiatiche ai confini dell’Europa. La conquista delle Americhe fu agevolata dalle poche centinaia di cavalli che gli esploratori e i conquistatori vi importarono dall’Europa.
Gli antenati del cane
Non si sa esattamente da quale animale derivi il cane domestico. Forse dal lupo, dallo sciacallo, dalla volpe. Il lupo, famelico crudele e prepotente non conosce che la preda; lo sciacallo è un animale falso e vile che si nutre preferibilmente di animali già morti. La volpe è astuta, ladra, paziente e risoluta nella caccia. Ma il cane ha perduto questi difetti ed ha acquistato quelle virtù che lo fanno amico dell’uomo.
Il cane
La prima amicizia fra l’uomo e il cane, si rinsaldò certamente, per ragioni di utilità. L’uomo dell’antichità aveva bisogno di un amico che lo difendesse, che lo aiutasse nella caccia, che lo amasse. Il cane fece tutto questo. Difese la sua roba, gli fu perfino compagno nella cattura degli animali, ma soprattutto lo amò.
Il gatto
Forse nessun altro animale è stato nel corso dei secoli oggetto di amore sviscerato e di onori al pari di una divinità, oppure odiato , incolpato dei peggiori delitti e messo al bando dalla società umana, come il gatto. Ma forse ciò dipende dalla sua natura, perchè il gatto, pur in tanti e tanti anni di vita domestica, non è ancora riuscito a vincere la sua diffidenza per l’uomo. Ciò, forse, dipende dalla sua appartenenza alla famiglia dei felini, che annovera gli animali più feroci della terra.
La pecora
Anticamente la pecora dovette essere un animale simile al camoscio: agilissima, dotata di corna e magari di umore alquanto aggressivo. Oggi è l’animale più mansueto che si conosca: effetto dell’addomesticamento. Vicino all’uomo, allevata da lui, la pecora, innanzitutto, è ingrassata, poi ha perduto i suoi istinti aggressivi.
Il cavallo
Il cavallo fu chiamato il figlio del vento perchè fino alla scoperta del motore, questo nobile animale fu il mezzo di trasporto più veloce che si conoscesse. Il cavallo fu domato dall’uomo fin dall’epoca più antica. In principio gli uomini gli davano la caccia per nutrirsi della sua carne, poi quando videro che poteva essere utilizzato per la velocità della sua andatura, lo addomesticarono e i cavalli divennero tra i servitori più preziosi dell’uomo.
Il figlio del vento
Io sono il cavallo. E sono bello. Sono agile. E veloce. E generoso. E forte. E coraggioso. E non sono, ovviamente, modesto. La modestia la lascio al mio parente, l’asino. Fu lui ad essere domato per primo e ciò dipese, quasi certamente, dalla sua mancanza di fiducia nei meriti della specie a cui apparteneva.
Ma l’asino non ama l’uomo, lo subisce. China la testa, presto volenteroso la sua schiena al carico e si sottomette docilmente alle stanghe. E l’uomo, che non ama gli umili, che non ha alcun rispetto per i sottomessi, non solo si serve di lui, ma lo beffeggia. Lo burla per le sue lunghe orecchie e chiama asini i suoi simili che non brillano per sapere.
Soltanto dopo aver domato l’asino, l’uomo volse la sua attenzione al cavallo. Il cavallo era un animale fiero, veloce, orgoglioso e l’uomo disse: “Lo domerò!”. Fu, per lui, un puntiglio d’onore. Domare un cavallo significava sentirsi più uomo, re del creato, quello per cui il creato era stato fatto.
Branchi di cavalli galoppavano per le steppe, nelle pianure, nei deserti, criniere al vento, occhi lucenti, garretti veloci, froge frementi. L’uomo li vedeva passare nei lontani orizzonti quando procedeva, lento, sulle piste, guidando carovane di asini carichi di masserizie. Andava per le sue migrazioni, attirato dall’ignoto, verso le terre sconosciute, campi più pingui, fiumi più profondi e foreste più folte. Ma il passo dell’asino era troppo lento per il suo desiderio e fu così che l’uomo, un giorno, cede un cappio con una lunga liana e catturò un cavallo.
Inutili i nitriti di dolore, di ribellione, di furore dell’animale prigioniero. Egli era l’uomo, il re, il dominatore, il despota. Il cavallo dovette cedere, anche se si ribellò, lo scavalcò, lo calpestò con i suoi duri zoccoli. Alla fine, schiumante di rabbia impotente, dovette quietarsi. L’uomo conobbe l’ebbrezza della velocità. Chiamò il suo destriero figlio del vento. Lo carezzò, lo strigliò, lo nutrì e gli mise il morso.
Il cavallo finì per non ribellarsi più a quel peso estraneo che sentiva sulla groppa. Imparò a conoscere lo strattone delle briglie e piegò la sua natura fiera alla volontà dell’uomo.
Divenne il suo fido compagno non soltanto nella corsa, ma anche nel combattimento. L’uomo ormai era progredito e faceva la guerra. Come fare la guerra, a quei tempi, senza il cavallo? Noi cavalli abbiamo sempre amato la battaglia. Il grido dei combattimenti ci esalta, lo strepitio delle armi ci inebria.
Incuranti del pericolo, portammo i cavalieri nella mischia e li facemmo diventare coraggiosi anche se non lo erano. Fummo bardati di ferro e di cuoio, portammo elmo e corazza come il cavaliere che ci montava. Giocammo con lui nei tornei e nelle giostre e lo seguimmo nella caccia. Un’epoca gentile e generosa prese il nome da noi: la cavalleria. Per l’uomo fummo un elemento indispensabile delle sue gesta gloriose. Dice un proverbio arabo: “Allah creò il cavallo e disse: ti ho fatto senza pari. Volerai senza lai e combatterai senza spada”.
(Mimì Menicucci)
Ritorna il gregge
Il gregge tornò dalla montagna. Primi venivano i montoni, con le corna basse e l’aspetto selvaggio; dietro il grosso delle pecore: le madri un po’ stanche, gli agnellini da lette coi musetti tra le zampe delle mamme. I muli, infioccati di rosso, portavano nelle gerle gli agnelli di un giorno, e camminando li cullavano. Ultimi i cani, ansimanti, con un palmo di lingua fuori dalla bocca; e due pastori giganteschi avvolti in ampi mantelli rossi che scendevano giù fino ai piedi.
La processione ci sfila davanti gioiosamente e per il cancello entra nel cortile: gli zoccoli picchierellano sull’ammattonato come uno scroscio di grandine. E in mezzo al trambusto il gregge entra nell’ovile. (A. Daudet)
Il gregge
Ecco le pecore in viaggio. Avanti e attorno a loro, camminano i cani da guardia. Sono bianchi come le pecore e procedono a testa alta, guardinghi. Vegliano sulle pecore e le difendono. Dietro ai cani vengono i montoni, scuotendo il campanaccio schiacciato. Sono seguiti dal gregge senza ordine. A capo basso, con gli occhi tristi che non guardano di lato, le pecore camminano in branco. Dove va l’una, vanno le altre.
Quelle vicino alle siepi, strappano qualche foglia. Dietro a questo fiume di lana calda,, che alza il polverone delle strade, vengono i pastori, o a piedi o a cavallo, con l’ombrello a tracolla e un lungo bastone in mano. Essi corrono dietro alle pecore che si sbrancano, spingono quelle che restano indietro zoppicando; raccolgono gli agnelli nati lungo il viaggio, bianchi e rosa, belanti.
Ogni tanto si volgono indietro. Nuvole dense hanno coperto i loro monti. Il vento stacca dagli alberi del piano le foglie ingiallite. (P. Bargellini)
Tanti animali, tanti record!
Lo sapevate che, in una giornata, un topolino mangia la stessa quantità di cibo che mangiate voi? Lo sapevate che se nel salto in alto fossimo bravi come la pulce, potremmo superare d’un balzo una collina? Vi diciamo quali sono gli straordinari primati sportivi di animali piccoli e grandi.
E la forza? Voi penserete subito all’elefante, immagino, che può trainare un intero treno merci. Ciò può anche non stupirci troppo, se pensiamo alle dimensioni del bestione. Assai più eccezionale è una simile forza, fatte le debite proporzioni, in una bestiolina come lo scarabeo stercorario, uno dei nostri più comuni coleotteri, che può sostenere e trainare un peso 850 volte superiore a quello del suo corpo. Ma c’è dell’altro! Una formica riesce a trascinare dietro di sé il corpo di un’ape, su una distanza che, rapportata alla misura umana, è superiore a molte decine di chilometri. Forse queste eccezionali qualità degli insetti dipendono dal fatto che essendo dotati di vita assai breve, riescono a concentrare in uno spazio di tempo ristretto tutta l’energia che un uomo sviluppa in una durata di circa settant’anni. Ci sono poi gli animali golosi, o più semplicemente mangioni. Il primatista in questo senso è senz’altro il topo, che in un giorno riesce a mandar giù tanto cibo quanto un ragazzo di dieci anni! C’è poi un caso di golosità che torna assai utile nell’agricoltura. E’ il caso della civetta che, per nutrire la sua nidiata, sacrifica fino a 6.000 topi campagnoli in un anno, salvando così i nostri raccolti.
Gli animali non finiscono mai di stupirci: incredibile è ancora la potenza dei loro sensi. Si dice occhio di lince per indicare la vista acuta per eccellenza, ma è una fama un pochino usurpata. La civetta ci vede assai meglio. Gli occhi della civetta, infatti, sono dotati di cellule che distinguono non i colori ma la luce, e contengono una sostanza che permette al rapace di percepire anche la luce più tenue, e di trasformarla in una vera e propria impressione visiva, là dove noi non scorgeremmo probabilmente un bel nulla. Così la civetta anche nella notte più fonda può andare a caccia di topolini e scorgerli tra le erbe.
Questi occhi peraltro eccezionali hanno un difetto: sono fissi come i fari di un’auto. Ma neanche a farlo apposta, questo difetto dà all’uccello la possibilità di conquistare un altro record: quello della mobilità della testa. Infatti la civetta riesce quasi a far ruotare la testa intorno al collo, senza cambiare di posizione e senza perdere di vista quel che le interessa. Non è certo un caso unico di vista eccezionale, la civetta: c’è un pesce tropicale che, navigando in superficie, riesce a vedere nello stesso tempo il pelo dell’acqua e le profondità del mare, e può captare e distinguere due immagini alla volta. Numerosi insetti, inoltre, grazie ai loro enormi globi oculari, hanno una vista che copre un’angolazione assai maggiore della nostra.
E per finire vi parleremo di una… lingua, che detiene il primato della stranezza. E’ la lingua della lumaca: una lingua con i denti. Sulla sua superficie di sono qualcosa come quattromila piccolissimi denti con cui la lumaca riesce ad attaccare le piante di ogni tipo e più tranquillamente rosicchiarle. Sulle foglie, nelle verdure degli orti avrete di certo notato il suo passaggio.
Se facciamo un confronto fra le possibilità fisiche nostre e quelle degli animali, non siamo certo noi a fare… la parte del leone. Pensate: un uomo può correre solo per alcuni secondi alla velocità di 36 chilometri all’ora, ma ci sono delle antilopi che toccano tranquillamente i cento chilometri all’ora, e il ghepardo supera addirittura i 110! C’è poi una specie di rondine asiatica che, dicono, vola addirittura a 320 km/h! La gazzella del deserto è il canguro superano con un salto addirittura i dieci metri.
Ma le vere primatiste di salto sono la rana e la pulce! Pensate: se un uomo fosse tanto bravo come la pulce, riuscirebbe a saltare trecento metri a piedi giunti, un salto pari alla torre Eiffel, insomma! Il topo del deserto, dal canto suo, che è lungo poco più di due centimetri, salta in lunghezza oltre quattro metri: in proporzione voi dovreste saltare 100 metri!
Lo sapevate che esistono alberi con più di duemila anni, che hanno visto tutta la storia dai tempi antichi ad oggi? In Francia c’è un’enorme quercia, il cui tronco a stento tre uomini potrebbero abbracciare, e che nel nel XVI secolo era il centro di riunione dei cospiratori contro gli spagnoli del Duca d’Alba.
Nel mondo degli animali non esistono casi così clamorosi di longevità. Si parlò un tempo di piovre vissute per secoli, il che spiegava la loro enorme mole dovuta a una lentissima crescita. E si è anche detto che il pappagallo e il corvo raggiungono la rispettabile età di 200 anni! La verità è però assai diversa: difficilmente un grosso corvo supera i sessanta anni. Non si sa molto sulla longevità dei pesci, ma si ricordano pesci rossi vissuti oltre dieci anni nel loro acquario, senza peraltro aumentare molto di dimensioni. Una carpa può vivere circa 25 anni. Una grande tartaruga vive circa 200 anni. Un coccodrillo vive a lungo anche lui: la vipera invece non vive più di sette o otto anni. E direi che è anche troppo per un animale così. Vita relativamente breve hanno i nostri più cari amici, il cane e il gatto. E’ un vero peccato che queste bestiole non possano accompagnare per tutta la vita il loro
(da “Il Corriere dei Piccoli”)
Animali che giocano
I loro giochi non sono molto complicati. Le lontre, per esempio, si divertono con una specie di toboga. Cercano la riva liscia e bene in pendio di un fiume, la puliscono dagli arbusti e dai sassi, e quando l’hanno resa sdrucciolevole si lasciano scivolare in basso, fino a piombare nell’acqua, ventre a terra e muso in alto.
Qualcosa di simile fanno i camosci sulle Alpi. Nell’estate saltano di cima in cima tra le solitudini dell’alta montagna, inseguendosi in una giostra vorticosamente pericolosa. Ma anche per i camosci il toboga è lo svago maggiore: scelgono alcuni declivi coperti di neve, si acquattano, poi agitando le zampe come se remassero, si lasciano sdrucciolare e scendono a precipizio anche per centinaia di metri. E’ uno spettacolo. Tanto che i camosci anziani fanno da spettatori.
Ed è gioco, proprio gioco.
Infatti l’esercizio si ripete continuamente, per due o tre volte, dallo stesso soggetto, escludendo così possa trattarsi di un mezzo di locomozione rapida per superare le distanze.
Anche i più grossi animali, come gli elefanti e i rinoceronti, amano, in giovinezza, i giochi.
I tassi hanno un loro gioco speciale: fanno le capriole e i salti mortali. Gli orsi, invece, ballano: e non solo gli orsacchiotti ma anche gli adulti.
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