SCOPERTA DELL’AMERICA materiale didattico vario per la scuola primaria: dettati, letture, racconti, poesie e filastrocche sul tema.
Eric il rosso e i suoi figli
Un tempo, non c’erano libri che descrivessero terre lontane, non c’erano carte geografiche e nessuno tracciava itinerari che permettessero di andare in un luogo sconosciuto con una certa sicurezza. La gente non viaggiava molto e credeva il mondo più piccolo di quello che non fosse in realtà.
I mezzi di trasporto erano primitivi, la gente andava a piedi, o tutt’al più, si serviva di carretti trascinati da cavalli, da asini o da buoi. Chi voleva andare per mare doveva accontentarsi di viaggiare su piccole navi che andavano un po’ a caso perchè la scienza della navigazione era ancora molto indietro.
Oltre tutto, i mari erano infestati da pirati e le strade da briganti; quindi, chi si metteva in viaggio, doveva essere anche un uomo di fegato.
Eppure, malgrado tutte queste difficoltà, c’erano uomini che arrivavano fino alle terre più lontane, sfidando disagi, pericoli e spesso rimettendoci anche la vita. Un po’ per smania di ricchezze, un po’ per amore dell’avventura, approdavano spesso a terre sconosciute e quando ne tornavano, raccontavano meraviglie.
Nelle terre del Nord dell’Europa, ghiacciate e desolate terre, prive quasi di vegetazione a causa del clima polare, abitava un popolo che , avendo poco da fare su quella terra così inospitale, era sempre in mare. Si chiamavano Vichinghi, ed erano arditi navigatori che non avevano paura di uscire nel gran mare aperto.
Uno dei più audaci, chiamato Eric il Rosso, sbarcò su quella terra che oggi noi chiamiamo Groenlandia. E i suoi figli, più audaci di lui, andarono ancora più in là, e approdarono in un territorio di cui ignoravano completamente l’esistenza e che chiamarono “terra delle viti”, perchè vi cresceva rigogliosa la pianta dell’uva. Era la parte più settentrionale di quella che oggi si chiama America.
Ma pochi si interessarono ai racconti che i figli di Eric fecero quando tornarono in patria e dell’avventura dei biondi Vichinghi nessuno parlò più.
Passarono cinquecento anni e i popoli europei avevano continuato a viaggiare. Attraversavano l’Asia per giungere alle Indie favolose, ricche di spezie, di sete, di gioielli e poichè le merci da trasportare erano tante e davano ricchi guadagni, la gente si cominciò a domandare se fosse stato meglio arrivarci per mare e caricare quelle preziose merci sulle navi invece che su carri e carretti.
Un italiano, disegnatore di carte geografiche, certo Toscanelli, era convinto che la Terra fosse rotonda, anche se pochi, a quell’epoca, erano della sua opinione. Disegnò, perciò, una carta secondo questa sua teoria e la mandò a un suo amico genovese, Cristoforo Colombo, che era fra quelli che cercavano una nuova via per le Indie e voleva arrivarci veleggiando verso Occidente.
Matto, lo diceva la gente. Com’era possibile raggiungere l’India e la Cina che si trovano a levante, mettendo, invece, la prua a ponente? Ma Colombo aveva studiato bene i venti e le correnti, e aveva visto che tanto gli uni quanto le altre si dirigevano verso ovest. Anche lui, come Toscanelli, era sicuro che la terra fosse rotonda, quindi, una nave che seguisse le correnti e fosse favorita dai venti, doveva arrivare alle Indie, pur facendo la strada opposta a quella fino allora fatta.
Tanto insistette, il navigatore genovese, che finalmente ottenne tre caravelle dalla regina di Spagna che lo stimava molto. Raccolse un equipaggio di uomini spericolati e avidi soltanto di guadagno, e si mise in mare.
“Fra sue mesi arriveremo alle Indie!” disse a quegli uomini rotti a tutti i rischi. Ma due mesi passarono e l’India non si vedeva.
Spericolati sì, avidi sì, ma a un certo punto quegli uomini si intimorirono. Cielo e mare, mare e cielo. E come sarebbero potuti tornare indietro se i venti continuavano a spingerli sempre nella stessa direzione?
Colombo, a un certo punto, rischiò la vita. L’equipaggio si ammutinò: o interrompere il viaggio e cercare di tornare in Patria, o quel genovese della malora avrebbe passato un brutto quarto d’ora.
Finalmente, in una brumosa mattina di autunno, fu intravista, all’orizzonte, una striscia di terra. Era il 12 ottobre 1492: una data che i ragazzi avrebbero studiato sui libri di geografia e anche su quelli di storia.
“E’ l’India!” disse Colombo. Ma non era l’India. Era un’isola sconosciuta e Colombo, grato a Dio che gli aveva salvato la vita, la chiamò San Salvador.
Alcuni uomini di pelle rossastra andarono incontro ai navigatori. Colombo li chiamò Indiani, come chiamò Indie Occidentali le terre che si intravedevano all’orizzonte. Veramente non si trattava ne di Indie ne di Indiani, ma questo Colombo non lo seppe mai.
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